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Su questo blog condivido alcune esperienze e riflessioni sulla gestione finanziaria aziendale e, inevitabilmente, su quella personale.
Raggiungere l’“indipendenza finanziaria” non significa perseguire un concetto astratto di “ricchezza”, ma raggiungere una disponibilità di denaro tale per cui questo non rappresenti più una questione centrale nella vita.
Il raggiungimento dell'indipendenza finanziaria dipende dalla nostra capacità di concentrazione su pochi, chiari e ben definiti obiettivi personali e sulla consapevolezza del non infinito tempo a nostra disposizione.
Senza concentrazione le nostre energie si disperdono in mille rivoli discontinui e finiscono nelle altrui agende a portare acqua agli altrui obiettivi. È una legge universale: se non gestisci il tuo tempo e il tuo denaro ci sarà qualcuno che li gestirà per te.
In tanti anni d’attività si è rivelato sempre più evidente il fil rouge che lega il denaro, il tempo e la nostra capacità di concentrarci.

:: Tempus fugit… ::


Quando si osservano redditi medio-bassi, o “nella media", appare evidente una relazione diretta tra capacità di produrre reddito e tempo impiegato per produrlo. Questa relazione diretta sembra, però, saltare qualora si osservi il processo di creazione dei redditi medio-alti o alti. Infatti, in uno stesso lasso di tempo, alcune persone diventano molto più ricche di altre. La capacità di generare ricchezza non è, quindi, da attribuire soltanto al numero di ore trascorse a lavorare.
Il fatto è molto evidente: le persone che sono finanziariamente indipendenti non hanno solo dedicato molto del proprio tempo per diventarlo, né, necessariamente, hanno lavorato più delle altre. Sicuramente, però, hanno saputo fare un uso produttivo del tempo, concentrandosi su attività rilevanti rispetto ai loro obiettivi.
È sempre interessante per me osservare nei miei clienti quanto numerose, inconsapevoli e assolutamente soggettive siano le diverse percezioni del tempo e del denaro, la diversa capacità di percepire il fluire del tempo e il fluire del denaro.
Nel mio lavoro, quando un'azienda mi chiede di implementare un sistema di controllo di gestione, gli aspetti che si rivelano meno complessi sono quelli strettamente tecnici di progettazione dell'intervento (ad esempio, la individuazione dei centri di costo o dei criteri di riparto o la creazione dei budget e dei report). I momenti più delicati e complessi nascono, piuttosto, durante l'accompagnamento all'implementazione del sistema, cioè la fase in cui i piani si traducono in azioni. Da parte della gran parte degli imprenditori o manager viene opposta una irrazionale e forte inerzia al cambiamento, una tendenza a posporre tutto ciò che sembri creare scompiglio nelle proprie abitudini e routine. Ogni cambiamento è faticoso, si ha paura di sbagliare, di fallire, di scoprirsi fragili o umanamente deboli. Però procrastinare non fa che peggiorare qualunque situazione, il semplice far trascorrere il tempo non risolve i problemi, soprattutto se questi sono di tipo finanziario.

Chi non ha la percezione del fluire del tempo, chi non è in grado di gestirlo, quasi sempre non ha la chiara percezione del fluire del denaro, non è in grado di gestirlo, si lascia "rubare" sia il denaro che il tempo, ad esempio, cedendo troppa parte del proprio tempo ai programmi altrui, trovandosi a dover rinunciare, necessariamente, ai propri.

Viceversa, quando ci poniamo il problema di riprendere il controllo della nostra agenda per gestire meglio il nostro tempo riusciremo a liberare nuovo tempo a disposizione. E lo stesso accade quando prendiamo il controllo delle nostre finanze, non solo utilizzando i budget, ma anche con il semplice monitoraggio continuo dei flussi finanziari: liberereremo nuove risorse.
Chi si ritrova con le finanze in disordine è spesso pieno di progetti nel cassetto mai realizzati, è un inarginabile ritardatario agli appuntamenti (anche quelli con me in studio, ahimé), paga in ritardo le bollette per mero rinvio del problema, giunge stressato alla sera della vigilia per fare i regali di Natale, rinvia la visita dal dentista finché non peggiora la situazione, e tutto per la propria tendenza alla procrastinazione, all'incrollabile abitudine a rinviare: rinviare l'inizio della propria dieta, rinviare quella richiesta di mutuo, rinviare di prendere una decisione sul proprio divorzio, rinviare di cambiare vita.
Anzi, ogni tanto prende una decisione solenne: decide di cambiare.
Da domani, ovviamente :-).
Ci si potrà scherzare su ma, finanziariamente, la procrastinazione e la discontinuità nel portare a termine gli impegni presi per raggiungere i propri obiettivi (ad esempio, rispettare i budget) sono una vera jattura, circondati da sciatte distrazioni e da urgenze raramente importanti.
E comunque esistono alcune tecniche aziendali che permettono di ovviare alla propensione al posporre che farebbero la felicità di ogni epigono del Felipe di Mafalda e che permettono, come dicono gli americani con formula felicemente sintetica, "to get things done".

:: Indipendenza finanziaria vs ricchezza ::

"Quando ero giovane credevo che la cosa più importante della vita fosse il denaro, ora che sono vecchio so che è vero".
Oscar Wilde
In fondo, perché ci si affanna tanto intorno al denaro? Al di là di quel che serve per la sopravvivenza, e senza voler tirare in ballo il solito Maslow, è evidente come molti rincorrano per tutta la loro vita la ricchezza. E tra questi, molti si attendono come ovvio corollario della ricchezza, il tanto agognato senso di pace e di appagamento presupposto della (ok, lo dico...) felicità :-).
Il paradosso della situazione è che la "sensazione di ricchezza" perseguita tanto strenuamente attraverso la semplice ricerca del continuo aumento del proprio potere d'acquisto, non la si potrà mai ottenere per il semplice fatto che questo tipo di sensazione è legata al livello di riconoscimento che si riceve dal proprio ambiente. Quindi non viene da dentro, ma dall’esterno.
Nonostante tutti gli sforzi, potremmo non "sentirci" mai "ricchi"Un contadino in un paese povero si "sentirà ricco" con una nuova gallina e un imprenditore dagli introiti milionari si "sentirà povero" finché avrà deciso di soffrire confrontando il proprio tenore di vita con quello altrui.
Se non si traduce il proprio personale concetto di ricchezza in termini di "indipendenza finanziaria" ci sarà sempre qualcuno più ricco da emulare (invidiare?), e quando si diverrà ricchi come lui, ci sarà sempre qualcun altro ancora più ricco in grado di far sentire "poveri". A quel punto la vita non sarà molto diversa da quella di un criceto che si affanna a correre dentro la sua ruota.
Nel frattempo, nel tentativo di diventare "astrattamente ricchi", si sarà forse anche covato del risentimento verso qualcuno e disistima verso se stessi, perché troppo travolti dal lavoro. E più basso sarà il livello di autostima, più si faranno spese per autogratificazione da confronto sociale, aumentando il fabbisogno di denaro e il tempo necessario a produrlo, con la conseguenza che si convivrà con la sensazione di non avere mai tempo per la propria vita privata, si sprecheranno le proprie migliori energie verso obiettivi che il subconscio "sente" come lontani da quelli a cui si tiene realmente e magari ritenuti "minori" sol perché non generano denaro, e rubando tempo, non infinito e mai realmente sufficiente, che si sarebbe potuto trascorrere con le persone care.

In sintesi, non va ricercata la "ricchezza", concetto elusivo e sfuggente, ma l'indipendenza finanziaria, cioè raggiungere una disponibilità di denaro tale per cui questo non rappresenti più una questione centrale nella vita.

E questa condizione si raggiunge non quando si è "ricchi" in astratto, ma quando il reddito è almeno pari alle reali necessità, includendo nelle reali necessità anche esigenze finanziarie di programmazione del proprio futuro finanziario.

È proprio sulle necessità che vanno chiarite le proprie idee. Bisogna cercare di essere sempre attenti e consapevoli di quali siano realmente le proprie reali necessità, perché non tutte le spese e desideri sono davvero necessari, come sanno bene gli uomini del marketing.
Il primo passo è necessariamente far chiarezza su cosa sia per ognuno davvero importante, comprendere quali siano le proprie (reali) necessità.
Il successivo è definire i propri obiettivi. Prima quelli personali e poi quelli aziendali. Solo dopo aver chiarito i propri obiettivi personali si può aver chiaro cosa "pretendere" dalle proprie atività economiche in termini di performance.
Il terzo è creare un budget, cioè un piano (da rispettare!).
Vogliamo che l’azienda generi utili? Quanti utili? Entro quando? Vogliamo invece costruire un'azienda che, comprimendo gli utili per un certo numero di anni, si affermi bene sul mercato avendo, magari l'intenzione di rivenderla in futuro? O l’intenzione di lasciarla ai nostri figli? Vogliamo semplicemente creare nuovi posti di lavoro? Vogliamo azzerare una situazione di sovraindebitamento nell'arco di 3 anni con una politica di compressione dei costi e della distribuzione degli utili?.
Non esiste una stessa strategia e uguali obiettivi per tutte le aziende. Così come non possono esistere uguali obiettivi nella vita privata di ognuno di noi.
Il concetto di “ricchezza” non è, quindi, uguale per tutti. Un uomo si "sentirà ricco" solo quando "sentirà" di possedere a sufficienza rispetto alle proprie necessità, quando avrà imparato ad apprezzare ciò che già possiede, indipendentemente dal fatto che agli altri questo possa apparire poco. La ricerca della ricchezza intesa, invece, come ricerca senza fine di un crescente potere d'acquisto sarà, ahimé, utile quanto rincorrere l'altro capo di un arcobaleno.

Non è impossibile arrivare ad apprezzare le cose che già possediamo, anche senza essere buddisti praticanti o francescani. È sufficiente essere concentrati sul "qui ed ora", essere presenti, vigili e consapevoli. Basta questo per apprezzare l'inestimabile valore di ogni momento, dato semplicemente dalla sua unicità. Facile a dirsi, meno a mettersi in pratica se non si mette in conto un minimo impegno di lavoro su di sé, essendo tutti cresciuti nella ansiogena ricerca di sicurezze ansiolitiche :-), nell'accettare come inevitabile il lasciarsi travolgere da mille preoccupazioni, alcune delle quali, solo a fermarsi un attimo, non meriterebbero certo di intaccare il nostro buon umore o un sorriso in più.
Certo si sa, il denaro è più di un semplice mezzo di scambio o di pagamento, è una misura di grandezza mitica che non appartiene solo alla sfera economica della vita ma è anche uno strumento di sublimazione di ambizioni frustrate, di bisogno d'affetto, di carente autostima, di rivalsa sociale.
E il cinismo di certo marketing tende ad approfittare di queste debolezze, vendendo quell'appagamento effimero che il comprare regala (di volta in volta potranno essere tv al plasma, navigatori satellitari, cellulari con lavatrici incorporate), semplicemente facendo leva sui bisogni psicologici profondi, che poi sono tanto comuni, diffusi e ricorrenti, ingrossando le dimensioni di ciò che "si deve" considerare "necessario" per non sentirsi rifiutati dal proprio stesso mondo.
Nel mio blog approfondiremo le riflessioni su esposte per affrontare la banale, immutabile e difficilmente aggirabile legge per cui il fabbisogno di denaro dipende dalle proprie necessità.
Le proprie necessità sono, a loro volta, funzione del proprio potere d'acquisto.
E il potere d'acquisto è espresso dalla quantità di denaro a disposizione in un dato momento(denaro che, se non si possiede, può essere preso in prestito).
Quando c'è squilibrio tra potere d'acquisto e necessità, ci sono solo 3 strade:
  1. si riducono le spese
  2. si aumentano gli introiti
  3. ci si indebita (il che significa solo spostare nel tempo la scelta 1. o 2., aumentata degli interessi)
Vista la lapalissiana semplicità della gestione finanziaria perché il denaro genera in molti così diffuse preoccupazioni? :-)
Paolo Battaglia